Nel parlare comune, spesso, questi due termini sono utilizzati come sinonimi.
Però di fatto non lo sono poiché intendono processi e risultati finali diversi.
Meglio quindi approfondire.
Se un materiale è biodegradabile, significa che può essere “digerito” da microorganismi che lo degradano attraverso processi enzimatici fino a scomporlo in molecole inorganiche semplici come acqua, anidride carbonica e metano.
È il caso del ramo secco che cade al suolo e in breve tempo scompare tornando in natura.
Ma anche di materiali artificiali come un pezzo di carta che, se lasciato all’aperto verrà presto degradato dall’ambiente.
Compostabile significa invece che il materiale in questione, di solito la frazione umida di rifiuti urbani o altre materie organiche, attraverso un processo aerobico di decomposizione in condizioni controllate, viene trasformato in compost e altre sostanze secondarie come acqua, anidride carbonica e calore.
In sostanza, la biodegradazione è un processo naturale e spontaneo che fa da preludio al compostaggio, un processo più complesso che deve avvenire secondo criteri più stringenti.
Praticamente qualsiasi materiale è biodegradabile: la differenza, perché il processo sia accettabile, la fa il tempo impiegato a scomparire e il rilascio di sostanze nel terreno: ad esempio, anche un accendino di plastica, se lasciato nell’ambiente, piano piano si degraderà.
Ma impiegherà 100 anni e lascerà nel terreno sostanze che non sono semplici acqua, anidride carbonica e metano.
Detto ciò è facile capire quanto il discorso sia ampio e complesso.
Meglio quindi restringere il campo ai soli imballaggi, la cui biodegradabilità e compostabilità è definita dall’unione europea con la norma EN 13432/2002.
La quale enuncia punto su punto i requisiti che un imballaggio deve possedere per potersi definire biodegradabile e compostabile.
Ed ecco la prima definizione: un materiale è biodegradabile se la sua degradazione avviene per almeno il 90% in 6 mesi, test da effettuare secondo specifici standard.
Se il materiale in questione ha questa caratteristica, allora ha la possibilità anche di essere compostabile, ma qui le regole da seguire per testare questa possibilità si fanno ancora più dettagliate.
Perché i frammenti residui dovranno essere inferiori 2 mm; la concentrazione di additivi e metalli pesanti dovrà essere limitata; ph, salinità ed altre sostanze chimiche dovranno rientrare in determinati range.
Come essere sicuri che il compost prodotto da imballaggio soddisfi queste caratteristiche?
Con il Terrestrial Plant Test: due varietà specifiche di semi vengono fatte germogliare contemporaneamente in compost con e senza l’aggiunta di materiale da imballaggio.
Per entrambe le varietà di semi coltivate in compost da imballaggio, la velocità di germinazione e il conseguente sviluppo vegetativo devono avvicinarsi di più del 90% alla crescita dei semi in compost “bianco” senza che, ovviamente, si manifestino effetti negativi sulle piante.
Se tutte queste caratteristiche sono soddisfatte quel dato materiale potrà essere considerato compostabile ed entrare nel ciclo virtuoso del recupero della materia e da scarto tornerà ad essere risorsa, in questo caso prezioso compost per fertilizzare piante e coltivazioni.
Gli articoli in polpa di cellulosa della nostra linea NAT.BIO soddisfano a pieno i requisiti dettati dalla EN13432 ed hanno anche diversi vantaggi pratici: piatti e vaschette possono essere gettati assieme ai residui di cibo senza preoccuparsi di svuotarli, non finiscono in discarica aumentando i volumi di materiale indifferenziato e, anzi, vengono avviati a nuova vita sotto forma di compost.
Per questo ne siamo orgogliosi: se ancora non conosci i nostri piatti e contenitori in polpa di cellulosa richiedici un campione. Saremo felici di farti scoprire quanto è virtuosa la nostra serie NAT.BIO.